Orientamenti 0-3 e Indicazioni nazionali per il curricolo. Appunti di lavoro.

Claudia Lichene, insegnante di scuola dell’infanzia statale,
Istituto Comprensivo di Carcare (SV)

Gli Orientamenti Nazionali per i servizi educativi per l’infanzia, dopo l’approvazione degli organi di controllo, sono diventati decreto ministeriale (DM 24 febbraio 2022, n. 43). Le “Linee Pedagogiche per il sistema integrato zerosei” (DM 13 novembre 2021, n. 334) e le “Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” (16 novembre 2012 n. 254) integrate con il documento “Indicazioni Nazionali e Nuovi scenari” (Nota ministeriale 2018, n. 3645) costituiscono il quadro culturale di riferimento per il sistema integrato di educazione e istruzione 0- 6 anni.

La lettura di questi documenti fa emergere la complessità del sistema integrato e le specificità dei profili professionali, dei contesti educativi che lo compongono e offre, anche, la possibilità di rintracciare alcuni “concetti” chiave che delineano un possibile filo rosso che può aiutare a costruire un dialogo di senso tra tutti gli operatori del sistema educativo integrato.

Di seguito, ne metto in evidenza alcuni.

Centralità del bambino

La cornice culturale e pedagogica disegnata dalle Linee Pedagogiche per il sistema integrato, sottolinea che la fase di vita dell’infanzia è peculiare per i compiti di sviluppo e i profondi cambiamenti che la caratterizzano. I Documenti di riferimento per il sistema integrato mettono in evidenza un bambino competente, desideroso di mettersi in relazione con adulti e coetanei, capace di costruire significati interagendo con l’ambiente e con chi lo abita.

Proprio per queste peculiarità, l’età dell’infanzia non va intesa come preparatoria per le tappe successive, ma vissuta nella sua pienezza. Anticipazioni e forzature impediscono di cogliere le potenzialità del bambino, farsene carico progettando con cura percorsi che accompagnino lo sviluppo rispettando tempi e ritmi personali. Quanto esplicitato risulta in linea con i Documenti più specifici rivolti allo 0-3 e al 3-6.

“I bambini hanno diritto di esprimersi, di essere ascoltati, di essere protagonisti nella determinazione dei propri percorsi di apprendimento. Un diritto che esige attenzione per la voce dei bambini, nei modi sottili in cui essa si manifesta…”. (Orientamenti Nazionali per i servizi per l’infanzia, 2022, p. 17).

“Ogni bambino è, in sé, diverso ed unico e riflette anche la diversità degli ambienti di provenienza che oggi conoscono una straordinaria differenziazione di modelli antropologici ed educativi, […]; il rispetto per chi è bambino insieme al rischio della frettolosità e del precoce coinvolgimento nelle dinamiche della vita adulta.” (Indicazioni Nazionali per il curricolo, 2012, p. 23)

Mettere il bambino al centro, dargli voce nella costruzione del progetto educativo che accompagna la sua crescita significa compiere scelte progettuali a partire da domande che tengono nella mente il bambino e i suoi diritti. Quale peso diamo alla dimensione ludica? Quale ruolo e significato attribuiamo al corpo e alla corporeità nella costruzione di identità, autonomia? In che modo tenere intrecciate la dimensione di cura e apprendimento?

Cura, educazione e apprendimento

La cura intesa come attenzione sollecita e interesse autentico richiama la disponibilità ad accogliere l’altro con le sue potenzialità e fragilità, riconoscere i suoi diritti e bisogni attraverso i diversi linguaggi che, in questa fascia d’età sono, principalmente, di natura non verbale. Il messaggio di cura, dunque, al bambino arriva in modo chiaro attraverso il non verbale con il quale ci avviciniamo,

tocchiamo il corpo del bambino, con il tono della voce con il quale gli parliamo. Anche i servizi e le scuole hanno un linguaggio non verbale che può comunicare al bambino l’intenzione di dargli voce e permettergli di partecipare al suo percorso di crescita. Dare voce al bambino e permettergli di riconoscersi come soggetto attivo e partecipe, richiede adulti capaci di allestire con intenzionalità contesti dove la cura si comunica nella:

  • organizzazione di spazi che consentono al bambino la possibilità di giocare, muoversi per esplorare, conoscere, scoprire, incontrarsi, costruire, sperimentare, stare nella propria intimità oppure poter scegliere di ritrovarsi con i coetanei;
  • favorire occasioni per sperimentare relazioni ricche, complesse;
  • organizzare tempi flessibili che alternino, nella giornata educativa, momenti di cura, di gioco, di apprendimento.

Nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo, questa attenzione la troviamo, non a caso, nelle sezioni che descrivono il profilo del docente che deve assumere un approccio basato sull’ascolto, l’osservazione e la presa in carico del mondo del bambino e in quella che fa riferimento all’ambiente di apprendimento. Quest’ultimo gioca un ruolo fondamentale e deve caratterizzarsi come ambiente che risponde a criteri di fiducia, sicurezza e attendibilità, capace di sostenere il bambino nelle sue esplorazioni e costruzione di significati senza sostituirsi a lui. Un ambiente, ancora, inclusivo caratterizzato dall’assenza “di barriere e dalla presenza di elementi che accolgano e orientino, siano rassicuranti e stimolanti anche per bambini con impedimenti motori o sensoriali e adattabili alle esigenze di gioco, di movimento e di cura di tutte le età”. (Linee Pedagogiche per il sistema integrato zerosei, 2021, p. 24).

Nel progettare l’ambiente educativo, l’insegnante e l’educatore che condividono l’idea di bambino competente che ha diritto ad aver voce e ad essere ascoltato, avrà cura di monitorare la sua risposta consentendo spazi di negoziazione per eventuali cambiamenti.

Continuità e curricolo (implicito ed esplicito)

L’orientamento verso la cura educativa come attenzione verso l’altro non può ridursi ai contesti educativi della fascia d’età zerosei, ma impegna tutto il percorso scolastico che attraverso l’apprendimento e l’integrazione dei diversi saperi promuove e forma ai valori della partecipazione, della solidarietà e al pensiero autonomo; principi che promuovono una cittadinanza consapevole.

In questo senso, Linee Pedagogiche, Orientamenti nazionali per i servizi per l’infanzia e Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo sottolineano il valore educativo della continuità. Già le Indicazioni Nazionali sottolineavano che il percorso di istruzione è caratterizzato da tre tipologie di scuola (infanzia, primaria, secondaria di primo grado) ciascuna delle quali presenta specifiche peculiarità che vanno preservate ma che non devono impedire l’unitarietà del percorso formativo. Le Linee Pedagogiche riprendono e sottolineano che realizzare una prospettiva di continuità 0-6 (ma potremmo ampliare facendo riferimento, almeno, a tutto il primo ciclo di istruzione) richiede la “condivisione di riferimenti teorici, coerenza del progetto educativo e scolastico, intenzionalità di scelte condivise”. (Linee Pedagogiche per il sistema integrato zerosei, 2021, p. 14)

Gli Orientamenti Nazionali per lo 0-3, riprendendo la prospettiva delle Linee Pedagogiche e delle Indicazioni Nazionali, invitano esplicitamente a costruire una prospettiva di continuità a partire dalla riflessione sull’interpretazione del costrutto di curricolo – che l’ispettore Giancarlo Cerini invitata ad usare con “delicatezza” – quando applicato alla fascia d’età dell’infanzia. Quella che si delinea nelle Indicazioni Nazionali, e che trova risonanza negli altri documenti di riferimento per lo zerosei, è l’idea di curricolo come documento aperto, processo attraverso il quale “si sviluppano e organizzano la ricerca e l’innovazione”; ben lontano, quindi, da una visione rigida e settoriale che vede il curricolo coincidere con un elenco sterile e impersonale di obiettivi disciplinari da traguardare. L’idea di

curricolo messa in evidenza è quella al cui centro c’è un bambino che, fin dalla nascita, è immerso nei sistemi simbolico-culturali e fa esperienza in modo globale. La costruzione del curricolo verticale, dunque, non si basa sulla linearità dell’apprendimento e sulla trasmissione di contenuti afferenti alle diverse aree del sapere (campi di esperienza, discipline…). Campi di esperienza e discipline rappresentano, semmai, chiavi di lettura attraverso le quali l’adulto sistematizza le esperienze che il bambino fa nel mondo e che devono avere carattere di unitarietà e non di frammentazione. Questa affermazione vale a partire dai contesti educativi per l’infanzia a quelli pensati per la secondaria di primo grado.

“La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello dell’impostazione trasmissiva. Le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione. I problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che i diversi punti di vista disciplinari dialoghino e che si presti attenzione alle zone di confine e di cerniera fra discipline” (Indicazioni Nazionali per il curricolo, 2012, p. 32).

L’affermazione sopra citata consente di riflettere sull’intreccio e rapporto che esiste tra curricolo esplicito (saperi, contenuti…) e il curricolo implicito (valore della cura degli spazi, dei tempi, delle routine, l’organizzazione del lavoro). Tale rapporto emerge se pensiamo che il bambino apprende perché interagisce con il mondo che lo circonda, costruisce teorie su come funziona, ma la possibilità di ri-organizzare ciò che ha appreso – in modo informale – e di costruire conoscenze ha a che fare con la presenza di un adulto che allestisce, intenzionalmente, contesti che sollecitano quelle conoscenze che si intendono far apprendere. La cura e l’educazione si intrecciano proprio a partire dalla disponibilità a interrogarsi sul modo in cui teniamo insieme, intenzionalmente, le due dimensioni del curricolo. Quale cura riserviamo nell’allestire contesti e progettare interventi educativi che, a partire dalle curiosità che il bambino manifesta nell’interazione con il mondo, sostengano la sua curiosità e i suoi bisogni di ricerca e conoscenza? E davvero così “inopportuno” parlare di curricolo esplicito anche nel nido? Quali rischi porta con sé un atteggiamento che trascura il ruolo del curricolo esplicito al nido? E quali rischi sono insiti nel trascurare l’influenza che il curricolo implicito ha negli altri ordini di scuola?

Tenere insieme curricolo implicito ed esplicito in un percorso unitario di educazione e di istruzione richiede una professionalità capace di rispondere alla complessità del processo educativo.

Una professionalità complessa

Compito di insegnanti ed educatori è quello di promuovere apprendimento allestendo contesti significativi che possano arricchire l’esperienza del bambino consentendogli di realizzare le sue conquiste nel rispetto dei suoi tempi e degli stili diversi di apprendimento. Questo compito richiede all’adulto di costruire un percorso curricolo aperto all’interno del quale le esperienze del bambino possono integrarsi all’interno di un progetto che le mette in continuità e consente di articolarle e farle evolvere. “La costruzione di un curricolo flessibile, attento ai bisogni e agli interessi autentici del bambino, capace di tenere insieme tutte le dimensioni che incidono sullo sviluppo dei bambini richiede la capacità degli operatori di osservare e valutare in itinere le ricadute che le scelte attuate hanno sull’apprendimento e la crescita dei bambini e, se necessario, attuare modifiche al progetto iniziale” (Lichene, Zaninelli, Pagano, 2017, p. 22)1. La progettazione e l’organizzazione di contesti educativi è un compito e una responsabilità di natura collegiale che richiede, dunque, la disponibilità e capacità di lavorare in gruppo, confrontarsi a partire dagli orientamenti pedagogici che informano decisioni e pratiche educative.

1 Lichene C., Zaninelli F., Pagano M. T., (2017), Curricolo è responsabilità, Zeroseiup editore.

La collaborazione tra professionisti dell’educazione acquista un ruolo decisivo nella costruzione del sistema integrato poiché per il gruppo di educatori e insegnanti, “progettare in continuità significa costruire e pensare pratiche che siano innovative e congruenti con l’idea di una traiettoria coerente, progressiva e graduale di socialità e di apprendimenti” (Linee Pedagogiche per il sistema integrato 0-6, 2021, p. 27). Se, come sottolineato nel paragrafo precedente, la continuità corrisponde alla possibilità di sostenere il cambiamento facendo risaltare le connessioni tra le diverse situazioni, i nuovi incontri ed esperienze, per realizzarla occorre prevedere momenti di incontro tra professionisti che provengono da contesti diversi. Prevedere momenti di incontro, significa investire nella formazione comune tra operatori dei due segmenti, per promuovere reciproca conoscenza, progressiva condivisione di un linguaggio, una visione comune sui bambini, i contesti, gli apprendimenti.

Le Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione – in linea con quanto sostenuto nelle Linee Pedagogiche e Orientamenti per lo 0-3 – mettono in evidenza una professionalità educativa che si «arricchisce attraverso il lavoro collaborativo, la formazione continua in servizio, la riflessione sulla pratica didattica, il rapporto adulto con i saperi e la cultura» (Indicazioni Nazionali, 2012, p. 23).

Emerge, dunque, un profilo professionale davvero complesso: educatori e insegnanti che devono saper osservare, ascoltare, documentare, valutare, accompagnare i bambini nel percorso di scoperta e apprendimento senza sostituirsi loro. Le Indicazioni Nazionali definiscono gli insegnanti come professionisti riflessivi, incoraggianti, partecipi e capaci di costruire buone relazioni e comunicare in modo efficace. Una professionalità che va costruita attorno all’intenzionalità e che necessita di una preparazione iniziale ma, soprattutto, di continue occasioni di crescita professionale in servizio che aiutino a riflettere sulla pratica quotidiana in ottica di miglioramento e di acquisizione di maggior consapevolezza.

Donald Schön (1983) sostiene che il professionista è posto di fronte a problemi connessi all’esercizio del proprio ruolo; problemi che egli risolve assumendo un atteggiamento simile a quello del ricercatore: osserva la situazione e le caratteristiche del problema, formula ipotesi sulla base delle osservazioni e conoscenze pregresse, mette alla prova le soluzioni ipotizzate verificandone l’efficacia. Tutto questo, secondo Schön avviene in modo quasi del tutto spontaneo, irriflesso e solo di fronte ad un imprevisto il professionista inizia un percorso di tipo riflessivo sul problema. A questo proposito, Dewey (1933) sottolineava che in ambito educativo si rischia di mettere in atto pratiche quasi automatiche di cui non si ha piena consapevolezza del significato pedagogico e che, per questo, impediscono di tenere vivo il processo di ricerca e di sviluppo dell’azione che è strettamente connesso alla possibilità di progettare contesti educativi di qualità. Accrescere la consapevolezza su quello che faccio davvero, come faccio quello che faccio e sul perché, sulla base di quali teorie/valori e in vista di quali obiettivi agisco richiede di far emergere i valori pedagogici e il significato di quelle azioni che riproduciamo quasi automaticamente. Questo lavoro implica un continuo ritorno sull’azione per riflettere su ciò che fonda il nostro agire quotidiano per esplicitarlo e condividerlo con l’équipe. L’atteggiamento riflessivo non è innato e va coltivato costantemente con percorsi formativi da realizzarsi in spazi e tempi dedicati con la supervisione di un esperto/facilitatore dei processi di condivisione, scambio e confronto. Uno degli strumenti decisivi per formare la professionalità riflessiva e approfondire i processi che la caratterizzano è rappresentato dal gruppo di lavoro che favorisce lo scambio, il confronto, la condivisione e la riflessione. Il processo riflessivo, infatti, non è mai solitario poiché l’individuo che lo intraprende fa in riferimento ad un contesto, ad un gruppo e ad un sapere che è socialmente costruito. Inoltre, il lavoro educativo è caratterizzato dalla collegialità e dal confronto in gruppo di opinioni diverse e impone di chiarire le proprie, divenirne più consapevoli e, eventualmente, modificarle. Insegnanti ed educatori, però, non possono essere lasciati soli ad affrontare questo percorso che le/li mette a confronto con la dimensione emotiva del lavoro educativo.

Occorre il supporto di un formatore il cui ruolo è quello di facilitatore che sostiene il dialogo e il confronto nel gruppo, sollecita l’esplicitazione da parte dei partecipanti dei propri valori educativi confrontandosi con quelli dichiarati nello strumento utilizzato. Un facilitatore che sostiene il processo di cambiamento stando accanto ai professionisti dell’educazione aiutandoli a fare i conti con le resistenze al cambiamento e con la fatica emotiva connessa.

Formazione in servizio

A partire dalla Nota MIUR 8 novembre 2017, n. 47777 sulla ripartizione dei fondi per la formazione dei docenti, altre note ministeriali che sono state emanate sembrano sottolineare alcuni aspetti imprescindibili che occorre vengano garantiti nella progettazione di percorsi di formazione professionalizzanti (rilevazione dei bisogni formativi, ricorso ad attività di formazione e ricerca, coinvolgimento di Università, associazioni e soggetti accreditati, realizzazione di reti di scuole).

La Nota Ministeriale 20 gennaio 2022, n. 78 avente come oggetto “interventi strategici per la realizzazione del sistema integrato zerosei” offre alcune indicazioni operative (dai possibili nuclei tematici dei moduli formativi, all’organizzazione degli stessi) sottolineando, però, la necessità di una formazione congiunta. Questo aspetto può essere realizzato pienamente se Scuole Polo, USR, Enti Locali, organizzazione degli enti gestori delle scuole dell’infanzia paritaria si impegneranno a collaborare, comunicare e co-progettare una formazione professionalizzante. Questo aspetto che riguarda il valore e la dimensione sociale della formazione sembra essere uno degli elementi più difficili da realizzare sul territorio nazionale.

Queste considerazioni lasciano intravvedere che rendere la formazione come elemento imprescindibile rappresenta “il” modo per valorizzarne il carattere strategico per la professionalità educativa; valore che va riconosciuto, anche, contrattualmente. Ma non basta! La formazione più efficace è quella che parte da questioni che sono percepite come ‘problemi’ deweyanamente intesi. Una formazione che sappia stare accanto a insegnanti ed educatori per sostenerli nella quotidiana fatica della relazione educativa. Una formazione che, per promuovere la costruzione di una prospettiva pedagogica ed educativa 0/6 promuova situazioni di incontro, confronto e riflessione tra educatori ed insegnanti che può ridurre i pregiudizi che ci sono tra le diverse figure professionali e i diversi contesti educativi che si occupano di infanzia nella fascia di età da 0 a 6 anni.

Lascia un commento