Sono state realizzate 10 interviste così distribuite: un educatore di nido comunale, un’educatrice di nido e di CBF comunale, due educatrici di CBF comunale, due educatrici di nido a gestione indiretta, un’insegnante di scuola dell’infanzia FISM, un insegnante di scuola dell’infanzia comunale, un coordinatore pedagogico comunale, una coordinatrice pedagogica FISM.
Le interviste sono state un’occasione preziosa e arricchente per il Centro di Documentazione RiESco del Comune di Bologna per conoscere i percorsi e le esperienze di alcuni degli operatori e delle operatrici dei servizi educativi 06 del territorio attraverso il racconto delle loro biografie professionali. A partire dalle domande stimolo proposte nell’intervista, i partecipanti hanno infatti riletto con entusiasmo il loro percorso professionale condividendone il senso e il significato.
I PARTE – “Navigare in un oceano di incertezze, attraverso arcipelaghi di certezza” E. Morin
Attraverso la metafora di Morin, i partecipanti hanno messo in evidenza aspetti diversi, tra i quali è possibile individuare delle connessioni non scontate. La dimensione dell’incertezza appare come un elemento costitutivo dell’essere umano, che attraversa bambini, famiglie, operatori, servizi e in modo più trasversale la società tutta:
“credo possono esserci delle incertezze comuni, che ci riguardano tutti e tutte … se prendiamo l’incertezza, ad esempio, della pandemia piuttosto che dell’odierno conflitto che stiamo vivendo a livello mondiale e che in un certo modo ci riguarda. Sono delle incertezze più trasversali e appunto collettive e poi forse ci sono anche delle incertezze un po’ più individuali … dei bambini delle bambine e delle famiglie, delle colleghe e dei colleghi … secondo me il primo step è davvero provare a chiedersi quali sono le incertezze che viviamo e che ognuno di noi vive perché credo che il primo passo da compiere sia capire come quel bambino vive quell’incertezza e come quei genitori vivono quelle incertezze che magari possono essere sì le stesse che vivo io ma appunto abbiamo vissuti diversi, le affrontiamo e vediamo nella maniera diversa.” (Filippo, pedagogista)
L’incertezza può generare in alcuni frustrazione e disorientamento:
“in questo oceano di incertezze viene molto spontaneo avere tutto sotto controllo e così facendo si fa ancora più confusione perché nulla può essere sotto controllo.” (Francesca, educatrice)
Imparare a convivere con l’incertezza è quindi un’abilità fondamentale ma non scontata, frutto di un processo, di un percorso di apprendimento intenzionale:
“mentre prima l’incertezza poteva dare anche fastidio … adesso sono diventato più capace credo di vivere l’incertezza.” (Damiano, insegnante)
“cercare di sostare nell’incertezza … un primo passo è quello di cercare di comprenderle, di dargli un nome, poi soprattutto di capire come ognuno di noi ci sta e che cosa prova in quest’area di
incertezza, quali sentimenti, quali sensazioni, emozioni si aprono e un’altra cosa cercare di dare un nome individualmente e collettivamente.” (Filippo, pedagogista)
“questo periodo storico ha abituato tutti noi a vivere nell’incertezza perché non sai che cosa ti succede il giorno dopo.” (Elma, educatrice)
La dimensione dell’incertezza appare come elemento costitutivo del lavoro educativo stesso, mai prevedibile, ogni giorno diverso, aperto al possibile e per questo esposto al rischio, alla paura di sbagliare.
“la prima cosa che mi è venuta in mente è proprio il nostro lavoro: … noi navighiamo sempre nell’incertezza, ogni giorno è diverso da un altro giorno, i bambini non ti portano le stesse cose
… siamo abituate ad avere una mente elastica nel rispondere a un’incognita che non era prevedibile.” (Elma, educatrice)
“le incertezze in cui navigo sono tantissime … quando entro in classe io vedo questi occhi che mi guardano tutti pieni di curiosità e … quindi io dico ma sarò in grado di rispondere a tutti i loro bisogni?” (Elena, insegnante)
“l’incertezza è sempre quella di intervenire in una maniera sana.” (Francesca, educatrice)
“per riuscire a resistere insomma in un oceano di incertezze occorre avere delle buone fondamenta e quindi avere una “giusta saggezza” che è un termine forse anche un po’ caduto in disuso cioè la capacità di scegliere tra ciò che è buono e giusto e ciò che è sbagliato.” (Lara, pedagogista)
Inizia ad emergere tra le righe la consapevolezza rispetto alla propria responsabilità educativa, consapevolezza che troveremo descritta in modo più esplicito anche in seguito.
Anche bambini e famiglie si trovano a navigare in questo oceano di incertezza. I servizi educativi possono essere per loro dei porti sicuri dove trovare accoglienza e sostegno, luoghi in cui attraverso lo scambio di esperienze e la condivisione dei vissuti si genera e si diffonde cultura dell’infanzia.
“credo che i servizi in generale ma in particolare i cbf, che sono un servizio che lavora sul supporto alla famiglia, siano delle certezze per le famiglie, noi siamo stati per loro sicuramente un punto di forza … io definirei proprio il cbf come un arcipelago di sicurezza rispetto alle famiglie” (Sandra, educatrice)
“noi educatrici come gruppo di lavoro, come educatrice di riferimento dobbiamo cercare di dare tutta questa certezza ai bambini e alla famiglia che si approccia per la prima volta … le certezze siamo sicuramente noi nella nostra trasparenza.” (Federica, educatrice)
“se penso al nostro ruolo come educatrici nel nostro servizio, forse è un pò ambizioso dirlo, ma ci vediamo un po’ così … nel cbf noi accogliamo le famiglie che ci portano le loro emozioni i loro timori, le loro scelte rispetto ai periodi di crescita dei loro bambini” e attraverso la condivisione, lo scambio di punti di vista e di vissuti “crescono un pò questi arcipelaghi di certezze perché insieme si costruisce una socialità, insieme si crea anche una cultura condivisa dello stare con i bambini … in questo scambio continuo di incertezze, il dubbio di quello che si sta facendo, come lo si sta facendo, perché lo si sta facendo, si creano poi questi atolli e poi piano piano creano degli arcipelaghi e piano piano insomma si crea una rete sociale.” (Cinzia, educatrice)
In diverse interviste, emerge chiaramente la consapevolezza del proprio ruolo in termini educativi, sociali e culturali. Ne deriva un forte senso di responsabilità personale e professionale che spinge ad alimentare costantemente la propria professionalità educativa attraverso la formazione, sentita come uno degli arcipelaghi di certezza capace di qualificare l’agire di operatori e operatrici dei servizi educativi.
“il personale ha cercato di aggrapparsi a qualche certezza secondo me con la professionalità e con la voglia di tenere, di tenuta cioè con il radicamento proprio alla sua professione … la professionalità come base sicura.”
“i miei arcipelaghi di certezza sono sicuramente la professionalità che in questi anni ho ovviamente acquisito tramite comunque corsi di formazione ovviamente molto mirati soprattutto per chi lavora in questi servizi nei cbf.” (Sandra, educatrice)
“se penso alla certezza dell’educatrice è la preparazione … sono delle basi sicure, comunque, lo studio e la formazione sono tutte cose che anche se sul momento magari uno segue una formazione dice ma non so che cosa mi possa lasciar nell’immediato in realtà è un cassettino … la preparazione individuale è una base sicura per delle eventuali grosse incertezze.” (Federica, educatrice)
“è sicuramente fondamentale la formazione che viene fatta insieme, perché le incertezze sono tante, perché comunque incontri persone che ti vedono un po’ come l’esperto e quindi comunque corri sempre un po’ il rischio di dare una risposta affrettata che va a dare un pò una ricetta.” (Cinzia, educatrice)
“conquistare quella riflessività … trovare il tempo per leggere, per andarsi ad aggiornare … credo che quelli siano un arcipelago di certezza. Sono certezze che vanno conquistate perché se no, si ha sempre la sensazione di stare in questo nuotare senza andare delle volte da nessuna parte. […] tutto accade troppo velocemente.” (Filippo, pedagogista)
Altro arcipelago di certezza è per alcuni il gruppo di lavoro, sentito come risorsa professionale fondamentale. Nel gruppo di lavoro si possono condividere e confrontare i diversi punti di vista per elaborare una nuova prospettiva sul reale e costruire concretamente un senso di corresponsabilità educativa:
“il mio arcipelago di certezza è il gruppo di lavoro, su questo non c’è dubbio.” (Cinzia, educatrice) “questa arcipelago di certezza è il gruppo … perché non sei da sola in questo lavoro, ci sono le tue colleghe.” (Elma, educatrice)
“gli aspetti che mi aiutano sono sicuramente il fatto di non essere da sola in questa cammino, per cui io penso che aver cura del mio gruppo di lavoro in particolare delle colleghe e avere con loro la possibilità di guardare insieme a quello che sta accadendo e di camminare insieme in questa complessità per cui il punto di vista dell’altro sempre arricchisce e offre nuove prospettive.” (Lara, pedagogista)
“la mia certezza è il gruppo di lavoro perché io mi sento sostenuta dalle colleghe perché le osservazioni che vengono fatte in un gruppo ti aiutano cioè non sei da sola quindi avere altri occhi che guardano e altri occhi che osservano e ti aiutano e questo è molto per me, mi dà molta sicurezza questa cosa.” (Elma, educatrice)
“il fatto di essere in gruppo secondo me è una grande forza perché anche nel momento di smarrimento è stato comunque nella condivisione con il nostro gruppo di lavoro che poi abbiamo ritrovato insieme un pochino l’equilibrio.” (Sandra, educatrice)
“la supervisione può essere sicuramente un modo per cercare di navigare in queste incertezze … il confronto tra le esperienze con colleghe credo che questo sia una certezza che ho sempre trovato: più punti di vista che in qualche modo mi costruiscono una realtà mi danno dei fermi in cui muovermi.” (Filippo, pedagogista)
Risulta molto interessante la lettura divergente che Damiano ci suggerisce per interpretare questi arcipelaghi di certezze, come elementi mai stabili, sempre in evoluzione, aperti al cambiamento nel tempo. Una sorta di invito a non ancorarsi alle nostre certezze ma a mantenersi costantemente vigili in una postura di ricerca.
“a me la prima cosa che mi è venuto da pensare è che questi arcipelaghi fossero come dei gusci di testuggini, i quali sono su un momento ma non è detto che rimangono poi su; quindi, fluttuano anche quelle.” (Damiano, insegnante)
II PARTE A e B – Concetti di approfondimento
Nella seconda parte delle interviste, le coppie di concetti proposte hanno permesso di approfondire ulteriormente le molteplici dimensioni dell’incertezza e della complessità nel lavoro educativo.
Trasversale agli intervistati risulta la consapevolezza delle proprie fragilità e incertezze, personali e professionali. Saperle riconoscere risulta fondamentale per poter poi costruire fiducia e coraggio nelle proprie e nelle altrui possibilità e capacità. In questo processo di consapevolezza, gioca un ruolo centrale il gruppo di lavoro, sottolineando ancora una volta il principio “nessun uomo (educatore-educatrice, insegnante, pedagogista) è un’isola”.
FRAGILITÀ/CORAGGIO “ognuno di noi ha degli aspetti di fragilità … se esplicitati in un gruppo che sa accogliere ti fanno trovare il coraggio per andare avanti … è stato importante poter portare le mie fragilità all’interno del gruppo per trovare il coraggio di affrontare delle situazioni … il confronto col gruppo di lavoro è fondamentale.” (Cinzia, educatrice)
FRAGILITÀ/CORAGGIO “io sono piena di fragilità perché io su me stessa devo fare un grande lavoro per arrivare in realtà coraggiosa … se penso a come colmare queste fragilità penso che il confronto con la pedagogista sia alla base, sia lei che in base anche alle sue osservazioni dal suo punto di vista e alle mie osservazioni riesca a dare quella spinta in più verso un coraggio; uguale comunque il confronto con le colleghe perché se io ho un buon rapporto con le colleghe … allora c’è un confronto costruttivo e va a colmare quella che può essere la fragilità delle educatrici in quel momento per potersi presentare con più coraggio.” (Federica, educatrice) FRAGILITÀ/POSSIBILITÀ “noi partiamo dal concetto di fragilità come se fosse qualcosa che non è completo ma in realtà la fragilità quando noi la vediamo e ne abbiamo a che fare per noi diventa uno stimolo, un motivo di crescita.” (Francesca, educatrice)
INCERTEZZA/FIDUCIA “il bimbo quando deve iniziare a fare una cosa nuova ti prende sempre per mano e ho pensato che la stessa cosa vale per noi insegnanti, cioè io credo che tutta la bellezza del nostro lavoro nasce da questa consapevolezza cioè che la prima ad aver bisogno di una mano sono io […] quello che vince la mia paura la mia incertezza è avere davanti veramente qualcuno di sicuro.” (Elena, insegnante)
Anche i due elementi della coppia LIMITE/POSSIBILITÀ risultano fortemente connessi l’uno all’altro. Nel gioco dei bambini, soprattutto nell’ambiente esterno, i limiti possono coincidere con i molti divieti imposti dall’adulto ed impediscono a bambine e bambini di sperimentare le molteplici possibilità offerte dallo spazio esterno:
“mi viene in mente: i limiti che poniamo anche nei giardini scolastici come, ad esempio, i divieti non si può arrampicare per esempio ed è un peccato perché per molti bambini è anche una cosa molto piacevole arrampicarsi e provare questa cosa … i limiti delle volte possono essere dettati dalle nostre paure … se mettiamo troppi limiti non facciamo neanche il loro bene.” (Damiano, insegnante)
Infine, attraverso le due coppie PERSONALE/PROFESSIONALE e MASCHILE/FEMMINILE i partecipanti hanno messo in evidenza le molteplici e inevitabili interconnessioni tra la propria biografia personale e l’esperienza professionale, in un rimando continuo e reciprocamente arricchente. In qualche modo – sembrano dirci gli intervistati – nell’esperienza professionale non è possibile e non è forse auspicabile prescindere dai vissuti personali e dai significati ad essi attribuiti. Esserne consapevoli consente di non agire in modo inconsapevole i propri vissuti personali nella relazione educativa, ma di rileggerli attraverso le lenti della propria professionalità.
“in qualche modo credo che il mio lavoro si interseca, si incrocia per fortuna con una storia personale appunto mia, io Filippo trent’anni insomma un’esperienza di un certo tipo.” (Filippo, pedagogista)
“nella nostra professione il personale e il professionale si intrecciano: io credo che ogni bambino ogni bambina per quello che è per la sua storia parli ad un aspetto di noi, un aspetto di noi che appunto si va ad intersecare, a interfacciare con chi siamo adesso e con chi eravamo, con la nostra storia … da una parte è un aspetto molto affascinante anche perché ti dà l’opportunità di vedere con altri occhi i tuoi aspetti … poi come dire rientra il professionale nel senso che non è
che devo cadere nell’illusione di aver compreso immediatamente il suo bisogno oppure identificare quel bisogno del bambino … può contribuire ad allargare lo sguardo su quel bambino, uno sguardo complesso non riduttivo, ad aprire una situazione e quindi delle possibilità di risposta.” (Sandra, educatrice)
“la figura maschile fa bene sia ai bambini e alle famiglie che al gruppo di lavoro, non lo dico per me per Federico dico in generale qualsiasi figura maschile. L’uomo ha una fisicità, un tono di voce, un modo di fare e di spendersi diverso complementare con la collega educatrice. Investire sul genere appunto sull’educatore uomo è importante perché ci sono tante situazioni anche nel modo di giocare, nel modo di approcciare la fisicità, proprio anche nel tenere un bambino, nel coccolare o anche nell’accarezzare nel gestire fisicamente un bambino.” (Federico, educatore)
Grazie a: Filippo Bianchi, Federica Carella, Cinzia Spisni, Elena Massari, Elma Gallo, Francesca Carfagna, Federico Rossi, Damiano Alberighi, Sandra Montebugnoli, Lara Vannini.
Erika Vassallo, coordinatrice pedagogica
U.I. Adolescenti e Centro Risorse del Sistema formativo Integrato 0-18 Area Educazione, Istruzione e Nuove Generazioni Comune di Bologna