Sono state realizzate 8 interviste così distribuite: due insegnanti di scuola dell’infanzia comunale, due educatrici di nido comunale, un’insegnante di scuola dell’infanzia statale, un’insegnante di scuola dell’infanzia paritaria-religiosa, un’educatrice di nido privato, una coordinatrice pedagogica comunale.
Il punto di forza di questa esperienza è stato certamente il grande desiderio di partecipazione e condivisione, sia degli educatori interni ai servizi comunali, sia delle colleghe provenienti da servizi diversi, molto felici di collaborare con i servizi educativi del Comune di Pesaro, storicamente un riferimento nella città per la qualità dei servizi 0-6, e allo stesso tempo di raccontare la loro qualità, il lavoro quotidiano per costruirla e mantenerla.
Tutti gli intervistati, infatti, hanno accolto di buon grado la proposta di farsi intervistare e l’aver fornito loro in anticipo la traccia con le domande li ha rassicurati. Prima dell’intervista, alcuni di loro hanno riportato un po’ di disorientamento di fronte alla lettura della metafora di Morin, come se non si aspettassero di dover argomentare partendo da un concetto con un alto livello di astrazione. A questo stato d’animo era associata anche un lieve dose di timore di non essere all’altezza dell’intervista o di dire cose non pertinenti. Tuttavia, tutti gli intervistati sono parsi a loro agio in questa veste facendo emergere spunti di riflessione di notevole interesse.
Scegliere un’immagine che fosse evocativa della dicotomia tra due termini ha stimolato riflessioni profonde sia nella fase di selezione dell’immagine sia durante l’intervista stessa. Inoltre, poter tenere la fotografia scelta sottomano ha permesso un ancoraggio ancora più marcato alla rievocazione della propria esperienza personale che è stata raccontata.
Ogni considerazione sul tema dell’incertezza si è avviata a partire dalla metafora ed è stato interessante coglierne così tante e varie declinazioni…
“Se ci deve essere una certezza che toglie dei dubbi, quelle veramente si fa molta difficoltà ad incontrarne. Io preferisco pensare alla certezza come una consapevolezza, una consapevolezza che si ha di sé. Per esempio, la consapevolezza stessa del fatto che vivo nel dubbio, vivo nell’incertezza. (…) le certezze diciamo sono più legate come dicevo prima, a un concetto di consapevolezza, ossia la consapevolezza del proprio ruolo, in questo caso del mio ruolo educante.” Maurizio (insegnante scuola dell’infanzia)
“Ogni giorno i nostri bambini devono avere gli strumenti per potere far fronte a quello che è l’incertezza e a quello che è anche l’errore. Molto spesso come adulti cerchiamo di togliere quelle che sono le frustrazioni, o i
pericoli, di aver paura magari di rischiare troppo, ma in realtà per affrontare l’oceano c’è bisogno degli strumenti, e questo è un po’ il compito di noi educatori.” Chiara (insegnante scuola dell’infanzia)
“Ho voluto proprio stare in questa incertezza, (…) ho voluto un po’ stare in questa sensazione e ho voluto osservare molto i bambini. Questo mi ha fatto un po’ cambiare alcune prospettive. Io sono sempre stata una persona che fa molto, molto dinamica. Invece sono riuscita a osservare molto, a sentire quello che stavo provando in quel momento con loro e mi sono molto focalizzata sulle relazioni.” Ginevra (insegnante scuola dell’infanzia)
I binomi di concetti hanno permesso ulteriori declinazioni:
“Queste due dimensioni, del personale e professionale, almeno nella mia personale esperienza, si abbracciano, si incontrano, si riflettono e nella migliore delle ipotesi, c’è una parte, auspicabile quella professionale, che prende il sopravvento e orienta l’azione.” Giuseppina (educatrice nido d’infanzia)
“Nel mio lavoro quotidiano incontro molto questa dimensione del limite perché spesso mi sento che non arrivo da nessuna parte, che sono molto limitata, nel senso che vorrei incidere di più, magari in un servizio, vorrei aiutare maggiormente le mie educatrici, le insegnanti che coordino, e spesso mi sento invece che proprio non ce la faccio, sento di essere impotente, (…) e quindi faccio i conti tutti i giorni con questi limiti, con il fatto che non posso arrivare ovunque, col fatto che non posso rispondere a tutte le richieste nella stessa giornata, o nei tempi in cui mi vengono fatte.” Federica (Coordinatrice pedagogica servizi 0-6)
“Quando pensiamo alla parola fragilità, dovremmo accostarci anche un’altra parola vicino che è quella della delicatezza. Perché se pensiamo alla parola fragilità può sembrare di per sé come una cosa negativa, qualcosa di fragile, si rompe molto e troppo facilmente: un bambino fragile, un’insegnante fragile, è una persona che quasi potrebbe sgretolarsi da un momento all’altro. Invece mi piace proprio accostarci quest’altro termine, che è quello di delicatezza, quindi come di un qualcosa da curare, a cui prestare attenzione, proprio per la sua natura di essere fragile e appunto delicata.” Veronica (insegnante scuola dell’infanzia)
Grazie a: Veronica Bamundo, Federica Drago, Sara Melandri, Maurizio Franca, Chiara Ferri, Zamira Keci, Ginevra Montanari, Giuseppina Donati,
Andrea Tagliabracci e Sabina Ercoli Coordinamento Pedagogico
Servizi alla Persona e alla Famiglia Comune di Pesaro e ambito territoriale AT1