Sono state realizzate 8 interviste così distribuite: un’educatrice di nido a gestione indiretta, un’educatrice di nido convenzionato, un’educatrice domiciliare, un educatore di nido comunale, un’insegnante di scuola dell’infanzia comunale, una coordinatrice pedagogica comunale, un educatore di nido e scuola dell’infanzia in progetto Erasmus dalla Spagna, un’insegnante di scuola dell’infanzia paritaria.
Ogni intervistato ha accolto con entusiasmo il nostro invito e la possibilità di raccontarsi. Questa esperienza ci ha dato la possibilità di ascoltare narrazioni, vissuti, di incrociare nuovi sguardi.
“Navigare in un oceano di certezze attraverso arcipelaghi di certezze” è stato il filo rosso che ha guidato le loro narrazioni, accompagnate da immagini che ci hanno raccontato, prestandoci la lente con cui hanno osservato quel momento.
Il lavoro delle educatrici e degli educatori ci è stato descritto come pratica quotidiana che oscilla costantemente tra certezza e incertezza, nella relazione con l’altro bambino, bambina, colleghe, colleghi e famiglie, una costante messa in discussione, che permette di affrontare l’imprevisto attraverso il confronto su aspetti estremamente mutevoli e dinamici dell’esperienza.
Angela (insegnante scuola dell’infanzia) dice “l’oceano mi riporta un qualcosa di dinamico mai di statico, in continuo movimento, in continuo cambiamento con una forza vitale che spinge al cambiamento, spinge al movimento, spinge inevitabilmente ad un’evoluzione“. Ci hanno restituito l’immagine di una professione incerta, perché si muove all’interno di eventi mutevoli e in continuo cambiamento, una professione in divenire. Ci hanno raccontato di un educatore che costruisce giorno dopo giorno la propria identità anche attraverso l’errore, Sara (educatrice di nido) ci dice “bisogna educare all’errore, l’errore apre le porte all’inaspettato all’inatteso e ci può indicare molteplici strade possibili e nuove soluzioni“. In tutti, l’incertezza è vissuta come aspetto intrinseco e positivo dell’educare come la certezza, che nei loro racconti diventa consapevolezza della propria professionalità educativa, certezza che si trasforma in un limite da superare quando diventa “abbiamo sempre fatto così“, come qualcosa da mettere in discussione con coraggio, per cui si sente la necessità di decostruire sicurezze che ostacolano la buona educazione. L’incertezza nei loro racconti non è vissuta come un ostacolo ma come un’opportunità, “è come un onda che non deve travolgerci ma se lo consentiamo ci deve accompagnare verso la scoperta di isole inesplorate“.
Armida, coordinatrice di nido e scuola dell’infanzia, ci dice che “l’incertezza c’è sempre nell’incontro con l’altro e la certezza è l’altro lato della stessa medaglia. Il binomio di queste parole è lo specchio di quello che abbiamo vissuto”. In particolare, Armida si riferisce al proprio ruolo professionale, aggiungendo: “sapere che il reale comprende un possibile che ancora non è visibile. Credo che questo sia la tendenza da perseguire all’interno dei gruppi. Comunque, l’avere fiducia che c’è qualcosa che non si vede ma che presto potrà realizzarsi, e quindi trovare la capacità di far fronte a una difficoltà”.
Ci hanno raccontato i loro percorsi di crescita in cui gli arcipelaghi di certezza rappresentano le consapevolezze che costruiscono rispetto alla propria professionalità, ci hanno restituito la necessità di rappresentarsi non solo come professionisti all’interno dei loro servizi ma anche all’esterno nel dibattito pubblico, attraverso le parole di Matteo (educatore di nido) “io credo che sia estremamente importante che sappiamo testimoniare, testimoniarci come dei ruoli importanti direi fondamentali perché il lavoro educativo e di cura è un lavoro faticoso impegnativo che richiede un’opera qualificata consapevole collaborativa e cooperativa “
Abbiamo raccolto nuovi sguardi come quello di Matteo che tra i suoi burattini ci ha narrato la sua esperienza di educatore maschio “mi capita spesso di condividere con i colleghi nel corso degli anni, ma anche attualmente la difficoltà di essere accolti anche a livello di spazi, perché per esempio, spesso gli educatori maschi nei nidi non trovano uno spazio dove potersi cambiare quindi dove poter indossare gli abiti che poi dovranno utilizzare per poter fare il loro lavoro e, questo trasmette un messaggio che è un messaggio di estrema precarietà “.
Con i loro racconti abbiamo rivissuto la fatica del periodo del lockdown che hanno affrontato mettendo in campo la loro professionalità attraverso la quale sono riusciti a reinventare il loro modo di stare accanto ai bambini, alle bambine e alle loro famiglie, Angela (insegnante scuola dell’infanzia) ce lo ha raccontato così “ricordo bene che da un giorno all’altro abbiamo dovuto chiudere le classi chiudere la scuola con l’introduzione della didattica a distanza, dover utilizzare nuove modalità quindi spostare il nostro modo di fare scuola in maniera tradizionale“.
Alfonso Diaz, educatore di nido e scuola dell’infanzia in Spagna, racconta il suo vissuto in una struttura romana. Mette in evidenza che la pratica virtuale dei LEAD, che si è resa necessaria, non può sostituire una “pegatina” (termine in spagnolo che indica esperienza). Ha messo l’accento sull’importanza della vicinanza e del contatto, per lo stabilirsi di una buona relazione, come aspetti fondamentali nei servizi educativi. Ciò non si può insegnare ai genitori attraverso il virtuale, ma va vissuto direttamente.
Chiara, educatrice nido, ci parla della fragilità come limite e come questa vada mostrata ai bambini senza mascheramenti a completamento comunicativo della relazione. La possibilità di affrontare le difficoltà si trova nell’intesa che descrive “la forza comunicativa che posso avere attraverso gli occhi e la voce, che allenati ogni giorno sono gli strumenti chiave, rendono migliore la comunicazione fra me e il bambino oltre che il rapporto stesso”.
Maria Luigia, insegnante di scuola dell’infanzia, ci parla dell’inaspettato e della forza che questo ha generato, raccontandoci l’esperienza vissuta con le famiglie appena lei e le sue colleghe hanno potuto incontrarle dopo il lockdown. Riferendosi al momento storico vissuto dice “ci ha racchiuso dentro l’imprevisto, l’inaspettato. Il gruppo educativo ha dovuto ripartire riconoscendo la necessità di prendersi un tempo proprio per riflettere e successivamente condividere con le famiglie i momenti di incertezza e la forza poi ritrovata.”
Ci hanno portato nella loro posizione di ascolto, di accoglienza quotidiana, necessaria per la costruzione di un’alleanza educativa con i bambini, le bambine e le loro famiglie. Paola (educatrice di nido familiare) ci ha raccontato di come sperimenta la fiducia ogni giorno e ogni volta che accoglie un nuovo bambino con la sua famiglia, Matteo di un’accoglienza costantemente rinnovata in ogni momento e non solo all’inizio dell’anno educativo, ce la restituisce come “qualcosa che ci troviamo ad esercitare quotidianamente, apertura rispetto alla relazione con l’altro, accoglienza della diversità, che è anche una diversità che si manifesta nel singolo individuo nell’espressione del suo carattere dei suoi atteggiamenti delle sue predisposizioni, noi stessi siamo diversi “.
Abbiamo raccolto oltre le parole, la voglia di condividere, il piacere di raccontarsi, “dove sentire diventa sapere“.
Grazie a: Sara Ciriaci, Matteo Corbucci, Paola Arpinelli, Maria Luigia Esposito, Armida Montagnoli, Alfonso Diaz, Chiara Morace, Angela Bravo.
Patrizia Siani (Psicologa età evolutiva di Cooperativa)
Silvia Cribillero (Coordinatrice pedagogica di servizi nido in convenzione)